Risorgimento, anarchia, penitenziario a vita, guerra civile americana, guerre indiane: c’è proprio di tutto nella vita di Carlo Camillo Di Rudio, un veneto che ha attraversato il XIX secolo dal suo lato più avventuroso. Nato a Belluno il 26 agosto 1832, da famiglia nobile, Carlo Camillo Di Rudio iniziò la sua avventura umana tra le mura del collegio militare austro-ungarico di San Luca, a Milano. Coinvolto suo malgrado nella prima guerra d’indipendenza (1848) il giovane, in compagnia del fratello Achille, assiste impotente ad alcune delle tante stragi perpetuate dalle truppe occupanti sulla popolazione civile. Carlo Camillo maturerà proprio in quest’occasione la decisione di abbracciare la causa del Risorgimento italiano, dovendo però aspettare il ritorno a casa dalla leva forzata in divisa austriaca. Segnato il temporaneo successo dell’Impero austriaco, il conflitto continuava a Venezia, richiamando nella città lagunare i tanti patrioti ancora convinti nella vittoria e tra essi c’erano i due fratelli Di Rudio. I due bellunesi presero parte attiva alla disperata difesa della Serenissima. Carlo, tra l’altro, venne arrestato dai nemici, riuscendo nella prima delle sue tante fughe. Raggiunta Roma per partecipare all’esperienza repubblicana, il giovane patriota vi avrebbe incontrato personaggi che lasciarono il segno nella storia italiana: Mazzini, Garibaldi, i fratelli Dandolo, Mameli, Saffi, Armellini, Bixio e altri saranno compagni della nuova avventura risorgimentale del ragazzo bellunese. Terminata anche questa esperienza, il conte veneto raggiunse Genova. Con Venezia sconfitta dagli austriaci, con Garibaldi costretto all’esilio forzato in quella New York nella quale lavorerà dignitosamente nella fabbrica di candele, anche per Rudio si aprì la stagione della perenne fuga. Intenzionato a raggiungere Garibaldi nella capitale americana, il giovane dovette invece riparare in Spagna a causa di un naufragio. Tornato temporaneamente in Francia, egli non trovò pace nel periodo antecedente il colpo di stato di Luigi Napoleone, costretto a rifugiarsi ancora una volta in terra straniera. Scelta la tranquilla Svizzera, passò prima a Varese e poi in Piemonte per riabbracciare i familiari. Trasformatosi in un vero e proprio tormento per le polizie monarchiche dei vari stati europei, Rudio conservò nella sua vita una convinzione sincera per le istituzioni repubblicane e per esse avrebbe pagato un prezzo davvero notevole. Sbarcato, in uno dei suoi tanti spostamenti, in terra inglese, Rudio lavorò per qualche tempo come giardiniere al servizio di Luigi Pinciani, un noto filantropo amico di Victor Hugo e costantemente in contatto con Giuseppe Mazzini. Conosciuta la giovanissima Eliza Booth, la futura moglie che avrebbe condiviso con l’italiano tutte le traversie della sua frastagliata vita, Carlo accantonò per un po’ i suoi propositi romantici dedicandosi alla tranquillità familiare, minata peraltro da continui stenti economici. L’occasione per tornare nella mischia venne con lo sciagurato progetto dell’attentato a Luigi Napoleone, da poco autoproclamatosi imperatore di Francia. Rudio vi partecipò seguendo Felice Orsini nell’impresa e nelle malsane carceri francesi. Condannato a morte al pari degli altri congiurati Rudio riuscì a sfuggire alla pena capitale grazie all’abilità del suo avvocato, alle manovre politiche del proprio suocero inglese e all’indulgenza (politicamente calcolata) dell’imperatore. Al giovane veneto venne concessa la splendida prospettiva di finire la propria vita nelle famigerate colonie penali del Sud America! Chiusa miserevolmente la prima parte della propria vita, Carlo si avviò così alla Cajenna portando con sè un solo pensiero fisso: la fuga a tutti i costi dall’inferno tropicale. La testarda convinzione di riuscire nella disperata impresa avrebbe accompagnato ogni attimo delle terribili giornate ergastolane dell’italiano. Considerato un sovversivo politico anche dai compagni di reclusione, il giovane anarchico dovette rispondere con coraggio e forza anche alle continue insolenze razziste degli ergastolani francesi, dando vita a più di un episodio di rissa. Nonostante tutto Di Rudio riuscì a trovare nella malsana colonia penale degli alleati disposti a partecipare al suo tentativo di fuga. Fallito un primo tentativo, dopo mesi e mesi di ulteriori preparativi segreti, la fuga riuscì suscitando un clamore eccezionale in tutte le terre coloniali francesi (è probabilmente tratto dalla sua storia il soggetto cinematografico del fortunato film “Papillon”). I fuggiaschi raggiunsero, dopo innumerevoli peripezie, il territorio inglese trovandovi funzionari ben lieti di nasconderli alle pressanti richieste francesi (molti deportati infatti erano condannati politici, invisi alla monarchia francese ma non alla Corona inglese). Tornato ancora una volta in Inghilterra il giovane Rudio riuscì a riabbracciare la propria moglie e la prima figlia tornando per un po’ alla serenità familiare. Alle porte della storia intanto aveva bussato il 1860 ma per l’ex galeotto, ridotto alla miseria economica, non c’era più spazio nel Risorgimento italiano. Gli stessi rappresentanti repubblicani consigliarono il conte bellunese di migrare negli Stati Uniti e il consiglio si sarebbe rivelato davvero prezioso per l’affamata famiglia Di Rudio. Sbarcato in terra americana, il giovane Carlo trovò subito impiego tra le truppe federali americane, impegnate nella Guerra Civile. Arruolatosi come semplice volontario nell’esercito antischiavista del Nord, l’ex patriota si distinse a tal punto da meritare i gradi in una compagnia composta interamente da soldati di colore. Finita la guerra e aiutato dai numerosi amici repubblicani, i soli a conoscere il vero passato dell’italiano, Carlo restò nei ranghi dell’esercito americano per passarvi il resto della sua vita professionale. Per la famiglia Di Rudio arrivò quindi finalmente la serenità economica e con essa crebbe anche il numero dei figli, battezzati tutti con gli eloquenti nomi di Italia, Roma, America ed Hercules. La destinazione effettiva dell’attempato ufficiale sarebbe divenuta da lì a poco un nome leggendario: l’italiano venne assegnato infatti al 7° Cavalleria degli Stati Uniti, alle dipendenze del personaggio più controverso della storia americana, il tenente colonnello George A. Custer! L’ultima parte della spericolata vita si sarebbe così svolta per Rudio in groppa a un cavallo. Ed egli si distinse in molte operazioni del leggendario Settimo Cavalleria diventando anche veterano delle guerre indiane. Pur dovendoli combattere per professione, l’italiano si sforzò di comprendere le ragioni dei pellerossa e cercò con loro sempre la strada del dialogo, cosa che lo invise a “Lunghi capelli” Custer, vero e proprio accentratore di potere e ossequiato dalla gran parte dei suoi uomini. Non fu possibile per Rudio evitare il leggendario scontro del 25 giugno 1876! Nel giorno della grande disfatta del Little Big Horn, Rudio (uno dei sei italiani presenti nelle file del 7^ cavalleria) eseguì diligentemente il suo ordine che lo vedeva impegnato in una colonna parallela. Assegnato alle squadre del capitano Reno, l’italiano spronò il suo cavallo all’attacco per ritrovarsi circondato da migliaia di indiani pronti a massacrare ogni viso pallido che fosse loro capitato a tiro. Rudio, costretto dagli eventi a una disastrosa ritirata, riuscì a eludere la sorte nefasta di tanti altri compagni nascondendosi in un provvidenziale anfratto. Insieme a un altro soldato riuscì a superare con astuzia l’accerchiamento per poi fare ritorno al proprio reparto, accolto dalle acclamazioni dei commilitoni. Tutto intorno era morte! Soltanto dopo altre 24 ore i superstiti della battaglia riuscirono a intraprendere le ricerche dei reparti dispersi per poi imbattersi nei cadaveri degli uomini di Custer. La disfatta del Little Big Horn traformò gli Stati Uniti in una nazione assetata di verità e di vendetta. Vennero così le prime pagine di tutti i giornali americani, le polemiche, le insinuazioni, le inchieste, le testimonianze in aula…. una serie di vicende che questa volta avrebbe solo sfiorato il maturo ufficiale del 7°. Trasferito ad altri fronti e poi di nuovo nelle terre dell’ Nordovest, Carlo Rudio, ormai capitano, partecipò anche all’epica rincorsa a Capo Giuseppe, l’indiano Nez Percé che era riuscito a tenere in scacco l’esercito americano con i suoi pochi guerrieri e la sua disperata fuga verso il Canada. Raggiunte le calde terre del Texas con nuovi incarichi logistici, l’ormai anziano soldato italiano riuscì a conoscere anche il grande Geronimo degli Apache Chirichaua. Nella ormai tranquilla guarnigione di frontiera raggiunse la tanto agognata pensione, benvoluto dai tanti commilitoni che nell’attempato ufficiale avevano trovato una memoria storica eccezionale e affabile. L’ex patriota repubblicano, l’ex anarchico, l’ex galeotto, l’ex nordista, l’ex ufficiale del 7^ cavalleria, per godersi la vecchiaia scelse, come tanti altri italiani, la città che portava nel suo nome la venerazione al santo patrono d’Italia: San Francisco. E nella laboriosa città californiana Rudio morì nel 1910, in un letto sovrastato dai ritratti di Calvi e di Mazzini, una causa mai rinnegata nel proprio cuore.