Uno di questi antichi modelli di viticoltura, particolarmente scenografico e molto interessante da un punto di vista storico e sociale è la bellussera. Un sistema ideato dai fratelli Bellussi alla fine dell’800 nel comune di Tezze di Piave, in provincia di Treviso. La bellussera prevede un sesto d’impianto molto ampio, con file di pali in legno alti circa 3 o 4 metri, che creano un interfilare largo 6, 9 o 12 metri. Le sommità dei pali sono unite con fili di ferro, che si incrociano formando una raggiera. Ogni palo sostiene quattro viti, che si arrampicano a quasi 3 metri da terra. La vite forma dei cordoni permanenti, che vengono fatti sviluppare seguendo i fili di ferro della struttura. A volte, le viti potevano anche essere maritate ai gelsi, senza l’utilizzo di pali artificiali, secondo una tradizione consolidata nelle campagne venete, anche prima dell’introduzione della bellussera. Da una veduta aerea, un vigneto a bellussera appare come un gigantesco alveare, un ricamo geometrico della natura, che disegna il territorio in modo quasi astratto. Se scendiamo a terra e camminiamo tra i filari, rimaniamo colpiti dalla monumentale maestosità delle viti, che sono veri e propri alberi, con tronchi di grosse dimensioni, sovrastate da un tetto verde di cordoni e tralci, che s’incrociano a raggiera sopra la nostra testa. La bellussera è nata e si e sviluppata per andare incontro a diverse esigenze. Da una parte per combattere la peronospora e dall’altra per cercare di sfruttare al massimo le risorse della terra. Nell’Ottocento, le campagne del Piave erano coltivate in regime di mezzadria e ai contadini restava solo 1/3 del raccolto. I vigneti a bellusera, tenendo i tralci vitati a oltre due metri d’altezza, evitavano che l’umidità delle terre del Piave, ricche di risorgive, potesse creare le condizioni per lo sviluppo della peronospora e fornivano grandi quantità d’uva per ettaro. Inoltre, nei larghi corridoi dell’interfilare, potevano essere coltivati ortaggi e se le viti venivano maritate ai gelsi, si potevano utilizzare le foglie delle piante per allevare bachi da seta. Il vigneto si trasformava così in un piccolo eco-sistema di coltivazioni agricole integrate, che doveva garantire la sussistenza di famiglie molto numerose. L’abbandono della mezzadria, i nuovi metodi per combattere la peronospora e la concezione moderna della viticoltura di qualità, indirizzata verso le basse rese, hanno di fatto decretato la fine delle vigne a bellussera. Oggi ne rimangono pochissimi esempi.