Le sei frange o code del vessillo Contarini, con putti, cavalli, fauni, lo stemma del Doge e il Leone in moleca Le frange o code o barbe della bandiera Contarina sono sei, a ricordo dei sestieri in cui è tradizionalmente suddivisa la città di Venezia; ciascuna frangia presenta ricami dorati a carattere floreale e volute su fondo rosso amaranto, probabilmente ancora tralci di viti, come per la bordura superiore e inferiore attorno al Leone. Cavalli e putti inframmezzano i motivi floreali, alle cui estremità, a sinistra e a destra, si ritrovano i gigli dorati di Francia. I putti, collocati ai lati del tondo centrale di ciascuna barba, sostengono i cerchi con una mano e contemporaneamente, con l’altra, tengono aggiogati per le briglie dei cavalli. I guizzanti equidi dorati, che sprizzano fuori dal fogliame, sono espressione di forza e di vitalità; di vigore e di virtù bellica; ma anche di nobiltà (la Cavalleria cristiana); tuttavia gli animali sono tenuti al morso da innocenti putti, dunque sono docili e obbedienti persino a dei fanciulli, simbolo delle passioni umane raffrenate mercé il dono della Grazia[2]; e, infatti, i putti aggiogano i cavalli ai tondi centrali, dove si alternano il Leone marciano in moleca (propiziatore della Grazia divina) e lo stemma dogale del Contarini, ovvero la forza del potere temporale, dal momento che “non invano l’Autorità porta la spada”, come insegnava San Paolo. Ed ecco i cavalli (gli uomini con le loro passioni, in realtà) che restano pacificamente e tranquillamente soggetti al legittimo potere spirituale e alla legittima autorità temporale. Soggezione degli uomini quindi a Dio — al vero Dio cristiano-cattolico e alla Santa Chiesa — e alla legittima Autorità politica (quella dogale, per i territori della Dominante) questo il significato allegorico che si vede rappresentato in questi simboli. Secondo il monito di San Paolo: “Non v’è autorità (legittima) se non da Dio; e quelle che esistono, sono stabilite da Dio. E chi resiste ad essa, resiste a Dio, attirandosene addosso la condanna”. I Re, le magistrature e i governanti della terra sono soltanto ministri e luogotenenti dell’autorità di Dio. Si aggiunga poi che già presso gli antichi Veneti precristiani il cavallo era una presenza sacra: tanto che questo animale accompagnava il defunto nell’Aldilà, trainando il carro della morte. Del resto per l’ordinamento dello Stato veneziano e per tutti quelli distrutti poi sull’onda anticristiana della Rivoluzione francese, il principio guida era l’ossequio a Dio e alle sue leggi morali, alla Chiesa, nonché la fedeltà alla Tradizione, nel senso del dovere delle Autorità di comportarsi e di agire alla sequela di “quod sapientissimi Majores nostri fecerunt” (di “quello che fecero i nostri savissimi antecessori”). Un ordinamento insomma, come avrebbe detto Chesterton, in cui votavano o avevano voce in capitolo anche i morti, presenti in spirito nei consessi politici, quasi fossero fisicamente presenti e potessero parlare, consigliare e decidere dai medesimi scranni su cui siedono i vivi. Infine, negli angoli in alto, all’estrema sinistra e all’estrema destra di ciascuna frangia, si scorgono, tra il fogliame, dei volti dalle fattezze antropomorfe, ognuno diverso dall’altro da frangia a frangia: si tratta probabilmente di mascheroni, dai tipici lineamenti grotteschi (omaggio al gusto barocco) o forse sono fauni – anche qui una citazione dal mondo classico – divinità italiche minori protettrici dei boschi, dell’agricoltura e della pastorizia. Un omaggio al sempreverde mito arcadico. Al centro della prima, terza e quinta frangia sta un cerchio con l’arma gentilizia del Doge Contarini, sormontata dal corno o berretto dogale, affiancata in alto da flabelli, attorniata da un cartiglio e incrociata da due tridenti di Poseidone, dio del mare, a significare il dominio veneziano sui mari o talassocrazia veneta; invece nella seconda, quarta e sesta coda, nel cerchio centrale sta il leone accovacciato, con la testa posta di fronte e le ali aperte a ventaglio, detto “in moleca”, nella posizione cioè del granchio (moleca, in veneziano) al momento della muta, in autunno, quando presenta una corazzatura (tegumento) più tenera e le chele spiegate, risultando più appetitoso. Il Leone in moleca rappresenta la città che sorge dalle acque, il Dogado vero e proprio, quindi Venezia e le sue lagune; ed è, infatti, il modulo marciano più comune in questo territorio, mentre il Leone andante, più aulico, è quello che meglio esprime la rappresentanza dello Stato. Nondimeno quello in moleca è, certamente, il simbolo leonino più ricco di rimandi religiosi, richiamando il Leone nell’Apocalisse, ovvero il Leone della tribù di Giuda, figura di Gesù Cristo, trionfatore della morte, del mondo e del diavolo. L’unico, nell’Apocalisse di San Giovanni, posto in mezzo ai quattro Evangelisti (fra cui San Marco, simboleggiato a sua volta dal Leone) che poteva aprire i sette sigilli che tengono serrato il libro e che tengono secretate le profezie dell’Antico e del Nuovo Testamento e del libro dell’Apocalisse stesso, inattingibili agli stessi Angeli. “E vidi a destra di colui che sedeva sul trono, un libro scritto di dentro e di fuori e chiuso con sette sigilli. E vidi un Angelo forte, che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e di dissigillare i suoi sigilli?». E nessuno poteva aprire il libro, né guardarlo, né in cielo, né in terra, né sotto terra. E io piangevo abbondantemente, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo. Uno dei vegliardi mi disse: «Non piangere più; ecco il Leone [il Cristo] della tribù di Giuda, stirpe di Davide, ha vinto e aprirà il libro e dissigillerà i suoi sette sigilli»”. Anche questo Leone in moleca, al centro delle frange, è nimbato e tiene fra le zampe anteriori, sul petto, il libro chiuso, di colore rosso, borchiato e con fermagli, sigillato; lo tiene a destra, anche qui differenziandosi dalla maggioranza degli altri Leoni, che per solito tengono il libro a sinistra. Il Leone, figura di Gesù Cristo, è ancora custode dell’Autorità legittima, sia nell’ordine spirituale e religioso che in quello temporale e politico. D’altronde, il gonfalone Contarini fa esplicita allusione anche ai castighi che Iddio fulmina sui malvagi ribelli. Il Leone è altresì allegoria di quel Cristo che verrà, dopo la morte, nel giudizio particolare; e in quello universale, alla fine dei tempi, a giudicare glorioso i vivi e i morti. «Leontoclastìa» ovvero la sistematica distruzione dei Leoni marciani Il vessillo Contarini è tra quelli miracolosamente scampati alla vera e propria strage iconoclasta di Leoni marciani, definita da alcuno leontoclastìa, perpetrata dai franco-giacobini, a partire dal 1797. Né si deve pensare che tale furia abbia riguardato soltanto la distruzione di leoni di pietra, in marmo o pittorici. Anche stemmi, pennoni, bandiere e altri manufatti furono vandalizzati e fatti a pezzi. Emblematico il caso delle insegne dei Rettori veneziani di Verona, trascinate nel fango e poi bruciate dai giacobini in Piazza Bra il 7 maggio 1797, mentre essi danzavano la Carmagnola attorno all’albero della libertà, presso i ruderi del monumento a Venezia che avevano appena demolito. È certo da deplorare la distruzione di Leoni veneziani che avvenne al tempo della guerra cambraica (o guerra della Lega di Cambrai, portata contro la Serenissima dal 1508 al 1516) ad opera delle truppe coalizzate, specie francesi e imperiali; laddove invece i Leoni furono rispettati dagli austriaci dopo la caduta di Venezia, in segno di continuità con essa e, incredibilmente, dagli Ottomani (sia pure, nel caso dei Turchi, solo in quanto preda bellica da esibire a mo’ di trionfo) nelle località da essi strappate col sangue alla Repubblica Marciana. Invece la più terribile e “capillare leontoclastìa [o distruzione di Leoni marciani] mai verificatasi” nella storia, si deve ai franco-giacobini di Bonaparte nel 1797, all’indomani della sollevazione popolare legittimista delle Pasque Veronesi (17-25 aprile 1797) a difesa del Governo Veneto e della Religione cattolica profanata e all’indomani della caduta della Dominante (12 maggio 1797). Nella sola città lagunare, circa mille Leoni cittadini esterni agli edifici (salvo alcuni dentro il Palazzo Ducale e quelli dentro le chiese, che furono risparmiati) furono vandalicamente abbattuti da uno sciame di tagliapietre assoldati dalla Municipalità democratica filo-francese che, con decreto del 29 maggio 1797, aveva ordinato di abbatterli o scalpellarli. Senza dire della “decretata pena di morte per la propaganda figurativa marciana”, essa pure irrogata dalla Municipalità. Mentre in Terraferma veneta ascendono “ad almeno quattromila, tra grandi e piccoli, gli esemplari marciani danneggiati o totalmente distrutti. Si infierì naturalmente sugli emblemi delle porte civiche, delle mura, degli edifici pubblici e privati e in primo luogo su quelli svettanti dalle colonne”. Una nuova ondata leontoclastica, stavolta slava, e croata in specie, si ebbe a fine ‘800, quale reazione al nazionalismo e irredentismo liberal-massonico che stava contagiando le comunità italiane d’Istria e Dalmazia e poi nel 1932-33, e ancora dopo il crollo del fascismo e dopo l’8 settembre 1943 fino al 1945; e, infine, a Zara nel 1953, sotto il regime comunista titino. Da parte slava si vedeva nel Leone marciano non più il simbolo di Venezia e quello sacro dell’Evangelista, simbolo di pace nell’ordine, ma quello del nazionalismo italiano, che negli anni precedenti l’aveva strumentalizzato per fini propagandistici. Odio nazionalista ustascia e odio comunista per la religione si sommarono insomma contro il Leone di San Marco, mietendo terribili e talvolta sistematiche devastazioni di reperti storici e artistici di grande valore.
Luoghi dove si trova esposta la bandiera Contarina
A parte il vessillo originale, esposto, come già detto, nella sala delle bandiere, presso il Civico Museo Correr di Venezia, numerosi sono gli eventi pubblici, le feste, i luoghi e le occasioni cerimoniali in cui la bandiera Contarina ha fatto la sua comparsa o è stata protagonista, mentre numerose sono le personalità che si sono fatte fotografare insieme a una riproduzione del vessillo: fra gli altri il Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia; l’Assessore regionale alla Cultura, Cristiano Corazzari; il Presidente del Consiglio Regionale del Veneto, Roberto Ciambetti e il critico d’arte Vittorio Sgarbi. La bandiera Contarina sventola dal 6 ottobre 2019 in Piazza delle Erbe a Verona, dopo essere stata innalzata diverse volte sul pennone di quella medesima piazza nel 2018 e nel 2019, in occasione della rievocazione dell’insurrezione di Verona contro Bonaparte (Pasque Veronesi, 17-25 aprile 1797) e della vittoria della flotta cristiana su quella turca, a Lepanto, il 7 ottobre 1571.
Il vessillo Contarini svetta ancora:

  • a Marostica (Vi) sul Castello scaligero, durante e dopo la celebre partita a scacchi in costume del 2019;
  • in Piazza San Marco, a Venezia, dov’è stata ripetutamente esposta, recata da alcuni patrioti veneti;
  • in Piazzetta San Marco, a Venezia, sugli stalli dei gondolieri al molo e in altri luoghi, dal 25 aprile 2018;
  • sul Palazzino Alvisi, nel sestiere di San Marco, a Venezia;
  • alle Fondamenta dell’Anzolo, presso Calle dell’Angelo, a Venezia,
  • alla chiusa del Ceraino, in Val d’Adige, proprio sotto lo storico forte di Rivoli, nel veronese;
  • a Villa Contarini, a Piazzola sul Brenta (Pd) il 15 agosto 2018;
  • ad Asiago, in Piazza del Duomo, in occasione della commemorazione dei caduti cimbri, vittime di Bonaparte nel 1797 e nel 1809, il 6 luglio 2019;
  • a Lonigo (Vi) in occasione della cerimonia di collocazione del Leone Veneto sulla colonna innalzata nella locale Piazza San Marco, il 25 luglio 2020. Riproduzioni: formati e dimensioni della bandiera Di recente un insieme di associazioni veronesi, alcune delle quali di area legittimista, tradizionalista cattolica e indipendentista (Comitato Veneto Indipendente, Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi, Sindacato Libero) ha curato un’accurata riproduzione del vessillo Contarini, d’intesa con la Regione del Veneto, dove l’opera è stata ufficialmente presentata il 13 marzo 2018. Il noto illustratore Oliviero Murru è stato incaricato di ridisegnare completamente il vessillo, “integrando e migliorando le parti lacunose o usurate dal tempo e ripristinando l’originario splendore dell’ordito e della trama, del disegno e dei colori”. Questi ultimi sovente ossidati dal tempo. A ogni esemplare è allegato un libretto in italiano o in inglese esplicativo del vessillo, della sua complessa simbologia e dei relativi rimandi allegorici. Oltre al gonfalone nel tradizionale formato orizzontale di dimensioni grandi (cm 600 X 300), medie (cm. 300 X 150) e piccole (cm 150 X 75), è stata prodotta anche una versione verticale del vessillo di dimensioni grandi (cm 390 X 600), medie (cm 149 X 230) e piccole (cm 96 X 150). Nel formato verticale le code scendono verso il basso dal rettangolo che contorna il Leone. La bandiera nel formato orizzontale grande è quella che più si avvicina, anche nelle dimensioni, all’originale inalberato sulla galeazza dogale e conservato al Museo Correr di Venezia.


    Tratto da altaterradilavoro