Nella maggior parte dei libri di storia italiani sembra che dalla battaglia di Lepanto al Risorgimento gli Stati italiani non abbiano mai partecipato a conflitti se non come vittime impotenti di invasioni straniere. Questo trascura completamente l’operato degli eserciti sabaudi che abbarbicati sulle alpi e nelle pianure piemontesi ebbero un ruolo di rilievo, sebbene sproporzionato alle dimensioni del Paese, nelle guerre del XVII e XVIII secolo, e la terribile serie di guerre Turco veneziane che si svolsero tra la metà del 1645 ed il 1718. Il conflitto più lungo e duro tra la piccola Repubblica di Venezia e l’enorme e potente impero turco fu il conflitto per Candia che, scoppiato nel 1645, si concluderà solamente 24 anni più tardi, nel 1669. Un conflitto che costò un numero spropositato di vite da ambedue le parti: circa 130.000 furono i morti per i Turchi e 29.000 per i Veneziani. Se per terra la superiorità turca era schiacciante per mare era un’altra storia e di fatto la marina Veneziana, con un impressionante serie di vittorie, guadagnò all’esercito numerose campagne assicurando regolari rifornimenti ad un fronte lontano ben 1900 chilometri dalla madrepatria e ponendo un blocco navale allo stretto dei Dardanelli che di fatto tagliò spesso i rifornimenti alle truppe turche sull’isola di Candia. Per meglio comprendere lo sforzo sostenuto dalla repubblica di Venezia e le dimensioni delle battaglie sostenute bisogna considerare che nel XVII secolo in media una galeazza imbarcava 500 uomini e 34 cannoni, un vascello 450 uomini e 60 cannoni, una semplice galea 300 uomini e 7 cannoni. Questo vuol dire che nel 1656 nello stretto dei Dardanelli la sola flotta veneta imbarcava 24000 uomini e 1950 cannoni. Un numero enorme per un piccolo stato come la Serenissima; basti pensare che ad Abukir si affrontarono 13 vascelli inglesi (962 cannoni) e 13 vascelli e 4 fregate francesi (1200 cannoni) mentre nella celebrata battaglia di Trafalgar la flotta inglese affrontò con 27 vascelli 4 fregate (2148 cannoni 17256 uomini) i 33 vascelli e le 5 fregate franco spagnole (21580 uomini e 2656 cannoni). L’ammiraglio veneziano Giacomo da Riva, il 12 maggio del 1649 nelle acque di fronte a Focchies, affrontò con 19 navi ben 72 galee, 20 navi e 10 maone (galeazze per i turchi) ottomane. Nella sconfitta i Turchi persero 10 vascelli e 4 maone. Quando nel 1651 la flotta turca trovò nuovamente il coraggio di prendere il mare venne intercettata nelle acque di Paros da quella veneziana guidata da Alvise Tommaso Mocenigo. Quest’ultimo, a capo di una flotta di 28 vascelli, 6 galeazze e 24 galee, affrontò la flotta turca, forte di 53 galee, 6 maone e 55 vascelli (di cui però solo 37 armati), sconfiggendola in uno scontro che durò dal 7 al 10 luglio del 1651. A quest’ultima battaglia parteciparono, in veste di semplici capitani, molti di coloro che si distingueranno negli anni successivi come: Lazzaro Mocenigo, Lorenzo Marcello e Francesco Morosini. Nella battaglia i Turchi persero sedici navi e una maona. Sfortunatamente nessuna delle 72 galee turche venne catturata o affondata. In questo modo rimaneva in mano turca il principale strumento per continuare a traghettare rinforzi a Creta. Il 17 maggio 1654 la flotta turca si presentò ai Dardanelli per forzare il blocco, preparata a dar battaglia e non solo per cercare di forzare il blocco navale. Forte di quaranta galee, sei maone e trenta navi, trovò ad attenderla la flotta veneziana guidata da Iseppo Dolfin e da Daniele Morosini, con sedici navi, due galeazze e varie galee. Lo scontro che ne seguì fu estremamente caotico ma possiamo dire che, a uscirne vincitori, furono i Turchi che riuscirono alla fine a forzare il blocco. Gli Ottomani persero nella battaglia 1000 uomini, 2000 feriti, un vascello bruciato, sette galee affondate, tre gravemente danneggiate e molte altre danneggiate e dieci galere che dovettero essere disarmate perché rese inutilizzabili dal combattimento Ma le cose cambiarono già l’anno successivo quando Lazzaro Mocenigo inflisse una nuova sconfitta alla flotta ottomana composta da 60 galee, 3 maone, 30 Navi e 45 galeotte. Era il 21 giugno del 1655 ed i Veneziani, che disponevano di 24 galee, 6 galeazze e 25 Navi a vela quadra, si impadronirono di tre sultane (grandi vascelli) in perfetto stato, che furono poi inviate a Venezia come trofeo, mentre quasi tutte le altre navi a vela andarono perdute per incendio o per incaglio. Complessivamente perirono diecimila ottomani e furono catturati cinquecento prigionieri contro solo duecento morti e altrettanti feriti tra i Veneziani. L’anno successivo fu la volta di Lorenzo Marcello di sconfiggere gli Ottomani. Dopo la morte del capitano generale Girolamo Foscarini, il 10 giugno 1655 tornò ad occuparsi direttamente della flotta, prendendone il posto. Il comandante veneziano Lorenzo Marcello raggiunse l’isola di Imbros, appena fuori dallo stretto dei Dardanelli, il 23 maggio 1656 con tredici vascelli, sei galeazze e ventiquattro galee oltre ad altri vascelli minori al comando di Pietro Bembo. L’11 giugno, sette galee maltesi al comando di Gregorio Carafa giunsero sul posto in sostegno ai Veneziani, facendo salire il numero totale delle navi della coalizione cristiana a ventinove vascelli, sette galeazze e trentuno galee. Il 23 giugno gli Ottomani, al comando di Kenan o Chinam Pasha, un russo convertito all’islam, apparvero allo stretto con ventotto vascelli, nove galeazze e sessantuno galee. Il 24 giugno le batterie d’artiglieria di terra dei Turchi sullo stretto spararono i primi colpi nella speranza di scacciare i Veneziani, ma non riuscirono nel loro intento. La mattina del 26 giugno i venti provenivano da nord e gli ottomani salparono velocemente dal momento che sapevano che le galee veneziane non sarebbero state in grado di assistere le loro stesse navi controvento. Poco dopo il mezzogiorno del 26 giugno, Sinau, col vento in poppa, diede l’ordine alla flotta di mettere alle vele, mentre le batterie costiere aprivano il fuoco contro la flotta veneziana. L’attacco fu rivolto verso l’ala destra della formazione cristiana che era la più debole. Bembo, capitano delle navi, reagì immediatamente dirigendosi con i suoi 19 vascelli verso il punto minacciato. Aprivano la formazione di battaglia lo stesso Bembo e Lazzaro Mocenigo che, combatteva come volontario su una sultana catturata l’anno prima alla quale era stato imposto il nome benaugurale di San Marco. Mentre si volgeva la manovra, il vento girò a ponente-maestro obbligando il Capitan Pascià a mettere all’orza per superare la punta dei Barbieri ed a far rimorchiare i vascelli dalle galere per evitare che scadessero. Le rimanenti galere andarono ad ancorarsi sotto costa protette dalle batterie costiere. Le navi e le galere veneziane riuscirono ad interporsi tra le galere e le navi a vela nemiche costringendo queste ultime a tentare di rientrare negli stretti. Nel violento combattimento lo stesso Lorenzo Marcello, dopo aver conquistato una galera nemica e mentre si accingeva ad attaccarne un’altra, fu ucciso da una cannonata. Per evitare che la notizia si diffondesse tra la flotta cristiana, con le ovvie conseguenze, fu informato della sua morte solamente il Provveditore Barbaro Badoer che, assunto il comando, trasbordò subito sulla galera generalizia e tenne il comando fino al termine dello scontro. Il giorno successivo allo scontro si ebbero altre piccole schermaglie e sul finire del giorno, la flotta ottomana aveva perso 4 grandi navi, 5 galeazze e 13 galee che erano state catturate dai Veneziani, mentre 22 vascelli, 4 galeazze e 34 galee erano state affondate o erano andate bruciate e i Turchi ebbero 10000 morti e 400 prigionieri. Solo 2 vascelli e 14 galee ottomane riuscirono a fuggire. Delle navi catturate, i cavalieri maltesi ricevettero 2 galeazze, 8 galee e 1 “super galea” (forse una galea bastarda). I Veneziani persero in tutto tre navi che andarono bruciate nello scontro, con 207 morti, 260 feriti e 94 dispersi. Le perdite maltesi ammontarono a 40 morti e più di 100 feriti. Circa 5000 cristiani impiegati come schiavi a bordo delle galee della flotta ottomana vennero liberati nell’operazione. Il comando per l’anno 1657, assegnato all’ultimo ammiraglio rimasto, il giovane Mocenigo, già reduce dal 1655, prevedeva che si passasse a bombardare Costantinopoli. Il Mocenigo, giovane e impetuoso, anelava la battaglia. Presso l’isola di Scio si distruggeva l’ennesima flotta nemica (le risorse turche erano tali che ve ne erano almeno tre o quattro sempre a disposizione!) e le feste erano tali che il Mocenigo era eletto procuratore per gli alti meriti. Con quest’animo i Veneziani imboccarono lo stretto. Se tutto sin lì era andato bene, una specie di “maledizione” tornò a presentarsi alla flotta: correnti avverse, uomini schierati sulle rive per impedire lo sbarco dei Veneziani, venti che mutavano con una rapidità incredibile. I Turchi, ormai anch’essi abituati a quelle incursioni, avevano adottato efficaci contromisure. Il Mocenigo decise di andare con alcune galee a Imbro per rifornirsi di acqua e viveri e i Turchi, che li stavano osservando, attaccarono con oltre cinquanta galee e l’appoggio delle batterie terrestri. Il 16 luglio 1657, in una giornata di pioggia e vento fortissimo, iniziò la battaglia. Nel caos che ne seguì con incredibile sorpresa le navi veneziane risultarono vincitrici e i Turchi, forse intimoriti dalla presunta invincibilità delle armate veneziane piuttosto che da un’effettiva azione di guerra, si diedero alla fuga. Il Mocenigo, conscio che tutto si sarebbe giocato in poche ore, pur essendo quasi sera e avendo attorno a sé appena 10 navi, ordinò l’assalto. Una burrasca bloccò l’azione che venne rinviata alla mattina successiva. La mattina trascorse senza vento e, alla sera, quando finalmente s’alzò, la flotta riprese la navigazione. Le batterie costiere tempestarono senza effetto l’avanzata delle navi e ormai Costantinopoli era quasi in vista quando accadde l’impensabile che mutò in pochi secondi il corso dell’intera guerra. Un colpo di cannone colpì una velatura che, cadendo, uccise il Mocenigo; pochi secondi dopo un secondo colpo centrò la polveriera della nave, facendola saltare in aria. L’avanzata si fermò e la notte bloccò la lotta. Il nuovo ammiraglio era Lorenzo Renier, un ultrasettantenne che non aveva mai avuto un vero comando e che era giunto lì solo per anzianità. Spaventato e timoroso per il morale della truppa (forse a ragione) decise di ritirarsi, concludendo in un nulla di fatto la campagna Il 1657 fu l’anno decisivo: troppe perdite, nessun vero ammiraglio rimasto in vita, tutte le battaglie vinte ma senza aver piegato un nemico troppo superiore. Venezia, rimasta sola e con risorse limitate, aveva fatto il possibile e già il 24 agosto i Turchi andavano all’attacco riconquistando le poche isole catturate dai Veneziani in precedenza. Il Renier, completamente passivo, venne destituito ma ormai era troppo tardi e, inoltre, non vi era nessuno che lo sostituisse validamente. Questo costrinse il governo veneziano a rendersi conto che ormai la guerra non poteva più esser vinta, ma anche i Turchi si resero conto che le perdite sarebbero state durissime e rinunciarono ai progettati attacchi contro la Dalmazia e l’Adriatico. La fortezza di Candia cadde infine solo il 6 settembre 1669 e con essa la guerra finì.